Co-opetition. Se il mondo cambia, il marketing cambia.


coopetionA nessuno sarà sfuggito che esistono in commercio automobili, smartphone, computer, elettrodomestici e molti altri beni dalle caratteristiche e dalle fogge tanto simili da avere generato in ciascuno di noi (a parità di prezzo) seria difficoltà nella scelta del prodotto.

Sembra quasi che le marche, soprattutto nei settori dell’automotive e dell’elettronica di consumo, “giochino” a confondersi le une con le altre presentando al consumatore oggetti “clone”; sembra inoltre che i brand abbiano rimosso dal proprio patrimonio di marketing il concetto di differenziazione del prodotto, tanto caro ai marketer della scorsa generazione.

Si tratta di pigrizia nella progettazione e nella produzione delle merci? Di copie smaccatamente evidenti del design dei prodotti leader del mercato? O di qualcos’altro?

Non possiamo escludere totalmente queste ipotesi, ma più spesso si tratta di consapevoli e proficue collaborazioni tra aziende che sono tra loro in competizione. Si tratta cioè di quello che viene definito con il termine di co-opetition o coopetizione, se preferite.

Al contrario di quanto sostenuto dai più, co-opetitoin non è un neologismo: il termine inglese (che fonde le parole competizione e collaborazione) è comparso per la prima volta cento anni fa, nel lontano 1913, in un libro intitolato Advertising as a Business Force: A Compilation of Experience Records (testo consultabile integralmente in Google Books). Ripreso poi negli anni Novanta, il tema della co-opetition è ultimamente ritornato in auge presentandosi alle aziende come una nuova opportunità strategica adatta a rianimare il business di molti settori economici, provati dal lungo periodo di crisi globale.

Come funziona la coopetizione?

La coopetizione è l’atteggiamento di competizione cooperativa che si instaura tra imprese concorrenti quando collaborano nella realizzazione di una specifica attività o fase del loro business.

Il caso tipico è quello di due marche concorrenti sul mercato che decidono di unirsi per fare un tratto di strada insieme, così da dividere i costi di ricerca e sviluppo e investire in innovazione. Una volta ottenuto l’output desiderato (solitamente un prodotto base comune) ognuno va per la propria strada e si riassume il ruolo di concorrenti nei diversi mercati, di sbocco o di fornitura. Da questo momento in poi la partita della sopraccitata “differenziazione” si giocherà sulla capacità delle aziende di definire e organizzare: dettagli e funzionalità aggiuntive del prodotto, discorso di marca e identità di brand, scelta del prezzo e della strategia distributiva, pubblicità, partnership e presentazioni. Queste variabili (e non il cuore del prodotto in sé), sono quelle che conferiranno quegli attributi, tangibili e intangibili, atti a garantire una differenziazione, seppur minima, percepibile/percepita dal cliente.

La co-opetition viene dunque usata per avere una prospettiva più ampia e creare collegamenti tra gli interessi dei concorrenti in gioco, in modo tale che tutti possano trarne beneficio. Risulta una strategia opportuna se consente ad entrambi i player di condividere i costi comuni senza perdere il vantaggio competitivo individuale: si tratta, è facile intuirlo, di equilibri delicati. Tali collaborazioni trovano delle difficoltà soprattutto nel momento in cui è fondamentale scegliere bene i partner, definire i ruoli e i compiti, monitorare l’andamento delle attività anche al di fuori della propria organizzazione. La pratica richiede di individuare preliminarmente quali attività dovranno essere svolte dalle imprese in modo congiunto e quali saranno realizzate in autonomia. Per questo è fondamentale l’attività di Planning per pianificare al  meglio il marketing delle imprese.

620_citroen_c1_peugeot_107_e_toyota_aygo_usate_19427Uno dei settori dove la co-opetition è stata adottata con riscontrato successo, è quello automobilistico: già negli anni Novanta, le maggiori imprese statunitensi del settore realizzarono una piattaforma comune di e-commerce per l’approvvigionamento della componentistica. Nel 2005 dal gruppo PSA (Peugeot Citroën) e Toyota sottoscrissero una joint-venture per sviluppare congiuntamente i progetti delle city-car Peugeot 107, Citroen C1 e Toyota Aygo e realizzare un unico impianto di produzione in Repubblica Ceca.

pettinatura-di-VerroneUn esempio di co-opetiton “made in Italy” ci è fornito dalla scelta di tre prestigiosi marchi della moda Loro Piana, Marzotto ed Ermenegildo Zegna. Pur di non perdere l’unica pettinatura al mondo – la Pettinatura di Verrone (una piccolissima azienda tessile del comparto biellese)- in grado di lavorare cachemire e alpaca in misura superfine, i tre imprenditori l’anno scorso hanno deciso di deporre le armi e aggregarsi per mantenerla in vita: acquisendo quote paritetiche del 15% hanno assicurato il mantenimento in loco dell’attività, preservando un patrimonio di conoscenze e risorse umane nel distretto tessile biellese.

La co-opetizione è una politica molto frequente nel settore dell’informatica; anche il turismo sta sperimentando dinamiche di “cooperazione creativa” per contrastare la concorrenza costituita da altri raggruppamenti o distretti turistici e, non ultimo, il settore della comunicazione e dei media risulta sempre più propenso a sviluppare attività in collaborazione con altri operatori per potenziare l’efficacia, ridurre i costi, aumentare la rapidità e la credibilità dei soggetti coinvolti.

La co-opetition è un modello vincente?

La diffusione della co-opetition, come modo alternativo di intendere i rapporti che esistono tra le imprese di un medesimo comparto, trova la sua principale ragione d’essere nella necessaria reazione a un mondo che cambia a una velocità più rapida che in passato.

Il processo di globalizzazione non coinvolge solo i tempi e i modi della produzione, ma influisce anche sulle abitudini di acquisto e sui gusti (sempre più omologati) dei consumatori mondiali. Le nuove tecnologie modificano i consumi e le regole del mercato; le attuali modalità di reperimento e condivisione delle informazioni rendono possibili nuovi scenari di collaborazione e co-creazione; il marketing assume una dimensione sempre più sociale e relazionale.

Questo significa che lo scambio sui mercati non è unicamente economico ma anche di linguaggio, di forme, di senso; lo scopo dell’azienda non può quindi essere esclusivamente l’accumulazione di profitto individuale ma la creazione di un serbatoio di valore sociale. Cambiare approccio diventa perciò indispensabile per sopravvivere e prosperare, nonostante l’intensa turbolenza dello scenario di riferimento inasprito dalla crisi; inoltre, i risultati delle imprese e delle istituzioni che hanno sperimentato progetti di coopetizione hanno mostrato un aumento del vantaggio competitivo per le organizzazioni che lavorano insieme.

Sembrerebbe molto semplice scegliere la coopetizione come sistema di business tuttavia, per mettere in pratica quanto descritto, occorre un’apertura mentale che difficilmente ritroviamo tra le nostre imprese, abituate all’autoreferenzialità e all’antieconomico principio di “farsi concorrenza a tutti i costi”.

Collaborare con un competitor non è strategia facile da perseguire dal momento che la nostra cultura è abituata a distinguere e trattare tra amici e nemici, tra collaboratori e concorrenti. Bisogna sviluppare alcune specifiche competenze: come la capacità di capire i vantaggi delle alleanze e l’attitudine a operare lealmente per i propri interessi senza superare i limiti di autonomia che ogni collaborazione richiede. Si tratta di un modo di fare business alternativo e complementare a quello “tradizionale” che fonda il suo valore sul principio della crescita comune.

Nell’era postmoderna, che rende possibile la coesistenza di interessi apparentemente opposti, competizione e cooperazione assumono un senso nuovo ad uso e consumo di un mondo che cambia. Non ha più senso competere tutti contro tutti per conquistare temporanee quote di mercato, meglio collaborare per condividere gli investimenti e aumentare i margini di profitto.

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